La Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno cd. “Direttiva servizi” vieta agli Stati membri, da un lato, di subordinare l’esercizio di un’attività di servizi sul proprio territorio al rispetto di requisiti discriminatori fondati sulla nazionalità oppure sull’ubicazione della sede legale e, dall’altro, di limitare la libertà del prestatore di scegliere tra essere stabilito a titolo principale o secondario sul territorio di uno Stato membro. Questo in estrema sintesi il contenuto della sentenza causa C-593/13 del 16 giugno 2015 Presidenza del Consiglio dei Ministri/Rina Services S.p.a. Nella sentenza la Corte sottolinea che, in materia di libertà di stabilimento, la direttiva citata elenca una serie di requisiti “vietati” (tra cui figurano quelli riguardanti l’ubicazione della sede legale), i quali non possono essere giustificati. Infatti, la direttiva non consente agli Stati membri di giustificare il mantenimento di tali requisiti nelle loro normative nazionali.
La direttiva “servizi” non ammette una normativa (italiana) che impone per l’esercizio di un’attività di servizi sul proprio territorio di avere sede legale nel territorio nazionale
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