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Solo dal rilascio di copia del PVC decorre il termine di sessanta giorni trascorso il quale può essere emesso l’avviso di accertamento ai sensi dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212. Questa l’estrema sintesi della decisione espressa dai giudici della VI Civile Tributaria della Suprema Corte di Cassazione n. 3060/2018 in un caso riguardante atti impositivi esitati in seguito ad un accesso istantaneo finalizzato all’acquisizione di documentazione.

Si riportano le massime e il testo integrale:

Corte Suprema di Cassazione – Sezione VI Civile – T – Ordinanza (CAS) n. 3060 dell’8 febbraio 2018

Presidente: Cirillo, Relatore: Manzon

 

In Massima e nel testo integrale

ACCERTAMENTO TRIBUTARIO – AVVISO DI ACCERTAMENTO – Art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 – Ambito applicativo – Accessi istantanei finalizzati all’acquisizione di documentazione – Inclusione – Fondamento – Art. 52, sesto comma, del DPR 26/10/1972, n. 633 – Art. 33, comma 1, del DPR 29/09/1973, n. 600

La garanzia di cui all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 si applica a qualsiasi atto di accertamento o controllo con accesso o ispezione nei locali dell’impresa, ivi compresi gli atti di accesso istantanei finalizzati all’acquisizione di documentazione, in quanto la citata disposizione non prevede alcuna distinzione ed è, comunque, necessario redigere un verbale di chiusura delle operazioni anche in quest’ultimo caso, come prescrive l’art. 52, sesto comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633.

Conf.: Cass. 15624/2014

 

ACCERTAMENTO TRIBUTARIO – Avviso di accertamento – Accessi finalizzati all’acquisizione di documentazione – Verbale di chiusura delle operazioni – Necessità – Rilevanza – Decorrenza del termine per l’emissione dell’avviso di accertamento ex art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 – Termine dilatorio di sessanta giorni dall’adozione del PVC ex art. 12, comma 7, della L 27/07/2000, n. 212 – Rispetto – Necessità – Ragioni – Omissione – Conseguenze Art. 52, sesto comma, del DPR 26/10/1972, n. 633

In materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, impone la redazione del processo verbale di chiusura delle operazioni in ogni caso di accesso o ispezione nei locali dell’impresa, ivi compresi gli atti di accesso finalizzati alla raccolta di documentazione, e solo dal rilascio di copia del predetto verbale decorre il termine di sessanta giorni trascorso il quale può essere emesso l’avviso di accertamento ai sensi dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212.

Conf.: Cass. 15624/2014, 7843/2015

Sulla necessità del Processo verbale di constatazione, anche nel caso di accessi finalizzati all’acquisizione di documentazione, la Corte di Cassazione, Sez. V, con sent. n. 15624 del 9 luglio 2014, ha statuito che la garanzia di cui all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 si applica a qualsiasi atto di accertamento o controllo con accesso o ispezione nei locali dell’impresa, ivi compresi gli atti di accesso istantanei finalizzati all’acquisizione di documentazione, in quanto la citata disposizione non prevede alcuna distinzione ed è, comunque, necessario redigere un verbale di chiusura delle operazioni anche in quest’ultimo caso, come prescrive l’art. 52, sesto comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Sintonica rispetto all’enunciato principio l’ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. VI – T, n. 9176 del 23 aprile 2014 (in “Finanza & Fisco” n. 9/2014, pag. 621) secondo cui la mancata redazione del PVC non può considerarsi giustificata dal fatto che in sede di verifica e di accesso presso i locali aziendali non sia stata svolta alcuna attività istruttoria ma una mera richiesta di documentazione rivolta al contribuente Sempre sulla necessità della redazione del processo verbale di chiusura operazioni per ogni attività svolta nei confronti del contribuente sottoposto a controllo fiscali, la Corte di Cassazione, Sez. tributaria, con Sent. n. 20770 dell’11 settembre 2013, ha avuto modo di rilevare che qualora ai fini dell’accertamento dell’imposta (nella specie IVA) sia stato effettuato un accesso nei locali destinati all’esercizio dell’attività o negli altri luoghi indicati dall’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, i funzionari che hanno proceduto sono tenuti a redigere processo verbale secondo le indicazioni contenute nel comma sesto del medesimo art. 52, che non prescrive affatto, tantomeno a pena di nullità, che nello stesso debbano essere formulati rilievi o addebiti, essendo tale fase del procedimento finalizzata soltanto all’acquisizione di dati, elementi, notizie, successivamente utilizzabili dall’Amministrazione per l’emanazione dell’eventuale avviso di accertamento. Più di recente, con l’ordinanza n. 1007 del 17/01/2017 è stato osservato che l’obbligatorietà generalizzata del contraddittorio preventivo di cui all’art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000, applicabile a qualsiasi atto di accertamento o controllo con accesso o ispezione nei locali dell’impresa, ivi compresi gli atti di accesso istantanei finalizzati all’acquisizione di documentazione, esclude l’ammissibilità della cd. “prova di non resistenza” prevista dall’art. 21-octies, comma 2, della L. 241 del 1990. Principio” vieppiù confermato, direttamente ed indirettamente, dalla più recente sentenza delle SS.UU. n. 24823 del 2015”

  

Nel testo integrale

La Corte Suprema di Cassazione, Sez. VI Civile Tributaria, composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Ettore Cirillo (Presidente), Dott. Enrico Manzon (Relatore/Consigliere), Dott. Lucio Luciotti, Dott. Antonella Pellecchia, Dott. Luca Solaini (Consiglieri), ha pronunciato la seguente:

Ordinanza

sul ricorso —/2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. —, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

(ricorrente)

contro

V. S.R.L., C.F. —, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’avvocato D.M.B., rappresentata e difesa dall’avvocato G.L.;

(controricorrente)

avverso la sentenza n. 278/1/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della SARDEGNA, depositata il 19/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10.01.2018 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON.

Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del Presidente e del Relatore.

Rilevato che:

Con sentenza in data 19 novembre 2015 la Commissione tributaria regionale della Sardegna accoglieva l’appello principale proposto dalla V. S.r.l. avverso la sentenza n. 199/6/10 della Commissione tributaria provinciale di Cagliari che ne aveva respinto il ricorso contro gli avvisi di accertamento IRAP, IRES, IVA 2003-2004. La C.T.R. osservava in particolare che trattandosi di atti impositivi esitati in seguito ad un accesso presso la società contribuente, se ne doveva affermare in via pregiudiziale ed assorbente di merito l’illegittimità in quanto non preceduto dal rilascio del processo verbale di constatazione con decorso del termine dilatorio di 60 giorni, come previsto dall’art. 12, comma 7, legge 212/2000.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo due motivi.

Resiste con controricorso la società contribuente.

Considerato che:

Con il primo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. – l’agenzia fiscale ricorrente lamenta la violazione di plurime disposizioni legislative e dei principi rivenienti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE, poiché la C.T.R. ha affermato l’illegittimità degli avvisi di accertamento impugnati erroneamente qualificandoli come derivanti da attività di verifica fiscale in senso stretto e proprio, mentre si trattava di accertamenti c.d. “a tavolino”.

Con il secondo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. – la ricorrente si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo controverso, poiché la C.T.R. non ha considerato le ragioni di fatto per le quali gli atti impositivi de quibus dovevano considerarsi frutto di un’attività istruttoria meramente interna e non derivante da un accesso presso la società contribuente.

Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono infondate.

Va ribadito che:

— “La garanzia di cui all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 si applica a qualsiasi atto di accertamento o controllo con accesso o ispezione nei locali dell’impresa, ivi compresi gli atti di accesso istantanei finalizzati all’acquisizione di documentazione, in quanto la citata disposizione non prevede alcuna distinzione ed è, comunque, necessario redigere un verbale di chiusura delle operazioni anche in quest’ultimo caso, come prescrive l’art. 52, sesto comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633” (Sez. 5, Sentenza n. 15624 del 09/07/2014, Rv. 631980 – 01);

— “In materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, impone la redazione del processo verbale di chiusura delle operazioni in ogni caso di accesso o ispezione nei locali dell’impresa, ivi compresi gli atti di accesso finalizzati alla raccolta di documentazione, e solo dal rilascio di copia del predetto verbale decorre il termine di sessanta giorni trascorso il quale può essere emesso l’avviso di accertamento ai sensi dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212” (Sez. 5, Sentenza n. 7843 del 17/04/2015, Rv. 635300 – 01).

Nel caso di specie risulta correttamente e compiutamente accertato in fatto dal giudice tributario di appello che gli atti impositivi impugnati sono stati preceduti anche da un accesso presso la società contribuente, specificamente finalizzato alla richiesta di documentazione.

Ne consegue che la sentenza impugnata ha quindi fatto piena e corretta applicazione dei principi di diritto espressi nei citati arresti giurisprudenziali; che dunque il giudice tributario di appello non ha in alcun modo violato le disposizioni legislative evocate, anche come interpretate nella giurisprudenza di questa Corte e della Corte di giustizia UE né ha omesso di esaminare le ragioni di fatto addotte dall’agenzia fiscale a sostegno della propria diversa qualificazione dell’attività istruttoria prodromica all’emissione degli atti impositivi medesimi.

Va peraltro soggiunto specificamente in ordine alla distinzione che si fa nel ricorso tra le due annualità fiscali ai fini del rispetto o meno del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, legge 212/2000, che tale argomento difensivo della ricorrente non ha rilievo giuridico, poiché nel caso di specie risulta violato l’obbligo di redazione e consegna del PVC previsto dalla disposizione statutaria de qua, sicché deve affermarsi come mai iniziata la stessa decorrenza del termine in questione.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714 – 01).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna l’agenzia fiscale ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.600 oltre euro 200 per esborsi, 15% per contributo spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, 10 gennaio 2018.