Il divieto dell’abuso del diritto nell’IVA è applicabile indipendentemente dalle norme nazionali

Trattasi di un principio generale del diritto dell’Unione che non richiede misure nazionali di recepimento

Il divieto dell’abuso del diritto ricompreso tra i principi generali dell’Unione europea

Con la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, causa C-251/16 Edward Cussens e a. / T.G. Brosnan, stabilito, che il principio del divieto di pratiche abusive, quale applicato nella sentenza nella causa Halifax (sent. della Corte del 21 febbraio 2006, C-255/02 – in “Finanza & Fisco” n. 14/2006, pag. 1050) alle disposizioni della direttiva sull’IVA, non costituisce una norma stabilita da una direttiva. Al contrario, tale principio trova il proprio fondamento in una costante giurisprudenza secondo la quale, da un lato, i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione e, dall’altro, l’applicazione della normativa dell’Unione non può estendersi fino a comprendere i comportamenti abusivi degli operatori economici. La Corte spiega, successivamente, che tale giurisprudenza è stata pronunciata in diverse materie del diritto dell’Unione. Essa precisa, inoltre, che l’applicazione del principio del divieto di pratiche abusive ai diritti ed ai benefici previsti dal diritto dell’Unione avviene indipendentemente dal fatto che tali diritti e benefici trovino il loro fondamento nei trattati, in un regolamento o in una direttiva. Secondo la Corte, quindi, il principio in questione ha carattere generale, per natura inerente ai principi generali del diritto dell’Unione. Di conseguenza, può essere opposto ad un soggetto passivo per negargli il beneficio, in particolare, del diritto all’esenzione dall’IVA, anche in assenza di disposizioni di diritto nazionale che prevedano un siffatto diniego.

Infine, la Corte conferma che siffatta applicazione del principio del divieto di pratiche abusive è conforme ai principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento, anche qualora tale applicazione riguardi operazioni realizzate prima della pronuncia della sentenza nella causa Halifax. La Corte rileva a tale riguardo che l’interpretazione da essa fornita del diritto dell’Unione chiarisce e precisa il significato e la portata di tale diritto, nel senso in cui deve o avrebbe dovuto essere inteso sin dalla data della sua entrata in vigore. Ne deriva quindi che il diritto dell’Unione così interpretato, al di fuori di circostanze eccezionali, deve essere applicato dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza che statuisce sulla domanda di interpretazione. Inoltre, nella sentenza nella causa Halifax, la Corte non ha limitato gli effetti nel tempo della sua interpretazione del principio del divieto di pratiche abusive in materia di IVA e tale limitazione può essere ammessa solo nella sentenza stessa che statuisce sull’interpretazione richiesta.

Il testo integrale della sentenza è pubblicato sul sito CURIA

 




I giudici “tributari” di uno Stato Ue possono controllare la legittimità delle richieste di informazioni fiscali rivolte da un altro Stato UE

Tale controllo è limitato a verificare se le informazioni richieste non risultino manifestamente prive di qualsiasi prevedibile pertinenza con l’indagine tributaria in oggetto

Il giudice nazionale, cui sia stato sottoposto un ricorso avverso un’ammenda inflitta ad un contribuente per inottemperanza ad una decisione di ingiunzione, ossia la decisione di un autorità (nella specie lussemburghese su richiesta dell’amministrazione tributaria francese) che ingiungeva di fornire le informazioni societarie, deve poter esaminare la legittimità di quest’ultima affinché sia rispettato il diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo, sancito nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Questo è quanto deciso dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella causa C-682/15, Berlioz Investment Fund SA. Infatti, spiega la Corte Ue, l’ingiunzione ha fornire informazioni societarie può essere legittima solo se queste sono “prevedibilmente pertinenti” ai fini dell’indagine tributaria condotta dallo Stato membro che le richiede. Questo perchè, sebbene agli Stati membri spetti il compito di individuare le informazioni di cui ritengano di avere bisogno, essi non possono richiedere informazioni che non presentino alcuna pertinenza con l’indagine tributaria, e il destinatario di una decisione di ingiunzione deve poter eccepire in giudizio la non conformità alla Direttiva 2011/16/UE del Consiglio, del 15 febbraio 2011, relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale e che abroga la direttiva 77/799/CEE della richiesta di informazioni e, di riflesso, l’illegittimità della decisione di ingiunzione che ne deriva. Peraltro, aggiunge la Corte Ue le autorità dello Stato membro interpellato (nel caso di specie le autorità tributarie lussemburghesi) non devono limitarsi a un controllo sommario e formale della regolarità della richiesta di informazioni, bensì devono anche assicurarsi che le informazioni richieste non siano sprovviste di qualsiasi prevedibile pertinenza ai fini dell’indagine tributaria, tenuto conto dell’identità del contribuente coinvolto nell’indagine e della finalità di quest’ultima. Parimenti, il giudice dello Stato nell’esercitare il controllo sulla legittimità della richiesta, deve verificare che la decisione di ingiunzione si fondi su una richiesta di informazioni sufficientemente motivata e vertente su informazioni che non appaiano manifestamente prive di qualsiasi pertinenza prevedibile nei confronti dell’indagine tributaria. Riguardo ai poteri cognitivi del giudice “tributario”, la Corte reputa che, affinché il giudice possa esercitare il suo sindacato giurisdizionale, esso deve avere accesso alla richiesta di informazioni e a qualsiasi altro elemento di informazione complementare che le autorità dello Stato interpellato abbiano eventualmente ricevuto dalle autorità dello Stato richiedente. Mentre, il segreto della richiesta di informazioni può invece essere opposto all’amministrato. Quest’ultimo, infatti, non dispone di un diritto di accesso a tale richiesta nella sua interezza. Tuttavia, per poter fare esaminare equamente la sua causa, l’amministrato deve avere accesso alle informazioni fondamentali della richiesta di informazioni (ossia l’identità del contribuente coinvolto e il fine fiscale delle informazioni richieste).

 

Per saperne di più:

La tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale del diritto dell’Unione

L’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, intitolato «Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale», sancisce quanto segue:

«Ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo.

Ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni individuo ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare.

(…)».

L’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, nella causa C-682/15, Berlioz Investment Fund SA

“1) L’articolo 51, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro attua il diritto dell’Unione, nell’accezione di tale disposizione, – e che, di conseguenza, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea risulta applicabile – quando attraverso la propria normativa commina una sanzione pecuniaria a carico di un amministrato che si rifiuti di fornire informazioni nel contesto di uno scambio tra autorità tributarie, fondato, segnatamente, sulle disposizioni della direttiva 2011/16/UE del Consiglio, del 15 febbraio 2011, relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale e che abroga la direttiva 77/799/CEE.

2) L’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che un amministrato, cui sia stata inflitta una sanzione pecuniaria per inottemperanza ad una decisione amministrativa che gli ingiunge di fornire informazioni nel contesto di uno scambio tra amministrazioni tributarie nazionali in forza della direttiva 2011/16, è legittimato a contestare la legittimità di tale decisione.

3) L’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 5 della direttiva 2011/16 devono essere interpretati nel senso che la «prevedibile pertinenza» delle informazioni richieste da uno Stato membro a un altro Stato membro costituisce una condizione che la richiesta di informazioni deve soddisfare per essere idonea a innescare in capo allo Stato membro interpellato l’obbligo di rispondervi e, di riflesso, rappresenta una condizione di legittimità della decisione di ingiunzione rivolta da tale Stato membro a un amministrato e della misura sanzionatoria inflitta a quest’ultimo per inosservanza di tale decisione.

4) L’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 5 della direttiva 2011/16 devono essere interpretati nel senso che la verifica dell’autorità interpellata, adita con una richiesta di informazioni proveniente dall’autorità richiedente in forza di tale direttiva, non si limita alla regolarità formale di detta richiesta, ma deve consentire a tale autorità interpellata di assicurarsi che le informazioni domandate non siano prive di qualsiasi prevedibile pertinenza alla luce dell’identità del contribuente coinvolto e di quella del terzo eventualmente informato, nonché delle esigenze dell’indagine tributaria in questione. Le medesime disposizioni della direttiva 2011/16 e l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che, nell’ambito di un ricorso proposto da un amministrato avverso una misura sanzionatoria inflittagli dall’autorità interpellata per inottemperanza ad una decisione di ingiunzione adottata da quest’ultima in seguito a una richiesta di informazioni rivolta dall’autorità richiedente in forza della direttiva 2011/16, il giudice nazionale dispone, oltre che di una competenza a modificare la sanzione inflitta, di una competenza a verificare la legittimità di tale decisione di ingiunzione. Per quanto riguarda la condizione di legittimità di detta decisione consistente nella prevedibile pertinenza delle informazioni richieste, il sindacato giurisdizionale si limita alla verifica dell’assenza manifesta di siffatta pertinenza.

5) L’articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che il giudice dello Stato membro interpellato, nell’ambito dell’esercizio del proprio sindacato giurisdizionale, deve avere accesso alla richiesta di informazioni rivolta dallo Stato membro richiedente allo Stato membro interpellato. Per contro, l’amministrato interessato non dispone di un diritto di accesso alla richiesta di informazioni nella sua interezza, richiesta che rimane un documento segreto, conformemente all’articolo 16 della direttiva 2011/16. Allo scopo di far esaminare pienamente la sua causa quanto all’assenza di prevedibile pertinenza delle informazioni richieste è sufficiente, in linea di principio, che egli disponga delle informazioni contemplate all’articolo 20, paragrafo 2, di tale direttiva.”

Link al testo della sentenza della Corte di Giustizia CE (CGC) – Grande Sezione – del 16 maggio 2017, Causa C-682/15Presidente: K. Lenaerts, Relatore: C.G. Fernlund, con oggetto: COOPERAZIONE AMMINISTRATIVA NEL SETTORE FISCALE – Direttiva 2011/16/UE – Interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 1, e dell’articolo 5 della direttiva 2011/16/UE del Consiglio, del 15 febbraio 2011 – Richiesta di informazioni rivolta ad un terzo – Diniego di risposta – Sanzione – Nozione di “prevedibile pertinenza” delle informazioni richieste – Controllo dell’autorità interpellata – Sindacato giurisdizionale – Portata – Articoli 47 e 51 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Attuazione del diritto dell’Unione – Diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo – Accesso del giudice e del terzo alla richiesta di informazioni rivolta dall’autorità richiedente

Documentazione sulla Reciproca assistenza (link ai siti web Mef , Eur-lex.europa.eu e Gazzetta Ufficiale )

Regolamento di esecuzione n.1156/2012 della Commissione del 6 dicembre 2012 recante talune modalità di applicazione della direttiva 2011/16/UE del Consiglio relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale.

Direttiva 2011/16/UE del 15 febbraio 2011, relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale e che abroga la direttiva 77/799/CEE.

Direttiva 2014/107/UE del Consiglio del 9 dicembre 2014, recante: modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale (“Common Reporting Standard- CRS“).

Direttiva 2015/2376/UE del Consiglio dell’8 dicembre 2015, recante: modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale (“ruling“).

Decreto legislativo 15 marzo 2017, n. 32, recante: attuazione della direttiva (UE) 2015/2376 recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale.  (in G.U. Serie Generale n.69 del 23 marzo 2017)

 




Autorizzata l’estensione del regime di split payment dal 1° luglio 2017 al 30 giugno 2020

A partire dal 1° luglio 2017 al 30 giugno 2020, l’Italia è autorizzata a imporre che nelle fatture emesse in relazione alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate a favore dei seguenti soggetti:

  • pubbliche amministrazioni;
  • società controllate da pubbliche amministrazioni ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile;
  • società quotate in borsa incluse nell’indice FTSE MIB, il cui elenco sarà pubblicato dall’Italia nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana dopo il 28 aprile 2017 e riveduto ogni anno, se necessario,

sia apposta una specifica annotazione secondo cui l’IVA deve essere versata dall’acquirente/destinatario su un apposito conto bancario bloccato dell’amministrazione fiscale. Questa è l’ estrema sintesi della decisione di esecuzione (UE) 2017/784 del Consiglio del 25 aprile 2017 (Pubblicata G.U.U.E. 06/05/2017, L 118/17) che ha autorizzato l’Italia all’estensione del regime di split payment.

Estensione dello Split Payment previsto dalla normativa nazionale dal 1° luglio 2017

L’ articolo 1 del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, (in www.pianetafiscale.it – Area riservata agli abbonati) reca disposizioni volte a estendere l’ambito applicativo del cosiddetto split payment, ovvero dello speciale meccanismo di versamento dell’IVA dovuta per le operazioni effettuate nei confronti di soggetti pubblici introdotto dalla legge di stabilità 2015 (art. 1, commi 629-633 della legge 23 dicembre 2014, n. 190), col quale si consente all’erario di acquisire direttamente l’IVA dovuta; in tal caso le pubbliche amministrazioni, ancorché non rivestano la qualità di soggetto passivo IVA, devono versare direttamente all’erario l’imposta sul valore aggiunto che è stata addebitata loro dai fornitori.

Per effetto delle modifiche in esame (comma 1), tale modalità di versamento è estesa all’IVA dovuta per tutte le operazioni (prestazioni di servizi e cessioni di beni) effettuate nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni inserite nel conto consolidato pubblicato dall’ISTAT. Si prescrive inoltre che lo split payment si applichi anche per le operazioni effettuate nei confronti di altri soggetti che, pur non rientrando nel conto consolidato PA, sono tuttavia considerati ad alta affidabilità fiscale, tra cui le società controllate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dai Ministeri, dagli enti territoriali e le società quotate. Si dispone l’applicazione dello split payment ai compensi per prestazioni di servizi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di imposta sul reddito (dunque ai compensi dei professionisti).

In estrema sintesi, l’articolo 1 del D.L. n. 50/2017, estende l’ambito di applicazione del meccanismo della scissione dei pagamenti dell’IVA:

  • alle società controllate dalla Pubblica amministrazione centrale;
  • alle società controllate dalla Pubblica amministrazione locale;
  • alle società quotate secondo l’indice FTSE MIB;
  • agli acquisti di prestazioni di lavoro autonomo.

Il comma 3 affida ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanarsi entro il 23 maggio 2017 (trenta giorni dall’entrata in vigore del decreto legge in esame), il compito di individuare i soggetti a cui le disposizioni in esame estendono l’obbligo di applicare lo split payment nonché le altre disposizioni di attuazione delle novelle così introdotte.

Ai sensi del comma 4, le nuove norme si applicano alle operazioni per le quali è stata emessa fattura a partire dal 1° luglio 2017.

Nel dettaglio, il comma 1, lettera a) dell’articolo 1 amplia l’ambito applicativo delle disposizioni concernenti lo split payment, in particolare estendendo tale meccanismo a tutte le operazioni effettuate nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni inserita nel conto consolidato pubblicato dall’ISTAT, in luogo di quelle effettuate nei confronti di enti ed organi individuati puntualmente dalla legge.

Viene in particolare sostituito il comma 1 dell’articolo 17-ter del D.P.R. n. 633 del 1972, che ha introdotto e disciplinato tale meccanismo di applicazione dell’IVA.

Per effetto delle modifiche in commento, il meccanismo dello split payment si applica a tutte le operazioni effettuate nei confronti della Pubblica Amministrazione inserite nel conto consolidato delle Pubbliche Amministrazioni,ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196.

La legge di contabilità n. 196/2009, all’articolo 1 sopra richiamato, definisce “amministrazioni pubbliche” gli enti e i soggetti indicati dall’ISTAT a fini statistici nell’elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato delle Pubbliche Amministrazioni (oggetto del comunicato ISTAT del 30 settembre 2011 e successivi aggiornamenti, effettuati sulla base delle definizioni dei regolamenti dell’Unione europea), nonché le Autorità indipendenti e tutte le pubbliche amministrazioni individuate dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. A tal proposito, si ricorda che ai sensi del citato articolo 1, comma 2 del D.Lgs. n. 165 del 2001, per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie istituite dal decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Agenzie fiscali). Fino alla revisione organica della disciplina di settore, tale definizione si applica anche al CONI. In sostanza, con le norme in commento, in luogo di applicarsi alle operazioni aventi come destinatari quelli specificamente individuati dalla legge di stabilità 2015, lo split payment trova applicazione in generale a tutte le operazioni rese nei confronti della Pubblica Amministrazione.

La lettera b) del comma 1 introduce il comma 1-bis e il comma 1-ter all’articolo 17-ter. Il comma 1-bisdell’articolo 17-ter estende ulteriormente l’ambito operativo del meccanismo dello split payment.

In particolare, la scissione dei pagamenti si applica anche nei confronti di alcuni soggetti che non rientrano nel menzionato conto consolidato ma – come riferisce il Governo nella relazione illustrativa – sono considerati ad “elevata affidabilità fiscale”. Si tratta dei seguenti soggetti:

a) società controllate direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dai Ministeri, ai sensi delle norme civilistiche (articolo 2359, primo comma, nn. 1) e 2), del codice civile; rispettivamente, le predette disposizioni definiscono “controllata” la società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria, ovvero in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; rispettivamente, controllo di diritto o di fatto) (comma 1-bis, lettera a));

b) società controllate direttamente dalle regioni, province, città metropolitane, comuni, unioni di comuni (ai sensi del già richiamato articolo 2359, primo comma, n. 1), del codice civile, controllo di diritto) (comma 1-bis, lettera b));

c) società controllate direttamente o indirettamente, ai sensi del richiamato articolo 2359, primo comma, n. 1), del codice civile (controllo di diritto), dalle società di cui alle lettere a) e b), ancorché queste ultime rientrino fra i soggetti qualificati come Pubbliche Amministrazioni ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge di contabilità (legge n. 196 del 2009), ovvero siano società quotate (comma 1-bis, lettera c));

d) società quotate inserite nell’indice FTSE MIB della Borsa italiana. Le disposizioni affidano a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze la possibilità di individuare un indice alternativo di riferimento per il mercato azionario (comma 1-bis, lettera d));

L’introdotto comma 1-ter chiarisce che le norme sullo split payment contenute nell’articolo 17-ter si applicano fino alla data fissata dall’UE nella decisione del Consiglio UE con la quale si autorizzata la scissione dei pagamenti in esame. (vedi, decisione di esecuzione (UE) 2017/784 del Consiglio del 25 aprile 2017 (Pubblicata G.U.U.E. 06/05/2017, L 118/17)

La lettera c) del comma 1 dell’articolo 1 in esame abroga il comma 2 dell’articolo 17-terche in precedenza escludeva dall’applicazione dello split payment i compensi per prestazioni di servizi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di imposta sul reddito . Di conseguenza, anche detti emolumenti (dunque i compensi dei professionisti) sono assoggettati al meccanismo di split payment.

Il comma 2 dell’articolo in esame apporta modifiche di coordinamento conseguenti all’estensione operativa dello split payment Con la modifica dell’articolo 1, comma 633, della legge n. 190 del 2014 si chiarisce l’applicabilità delle sanzioni previste dallo stesso comma, per il caso di mancato o ritardato versamento dell’imposta, a carico degli acquirenti di beni o servizi, indipendentemente dalla forma giuridica che i medesimi rivestono in considerazione dell’allargamento dell’ambito applicativo dell’istituto anche a soggetti privati non appartenenti alla pubblica amministrazione.

Il comma 3 dell’articolo 1 in esame affida ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanarsi entro il 23 maggio 2017 (30 giorni dall’entrata in vigore del decreto legge in esame), il compito di individuare i soggetti a cui le disposizioni in esame estendono l’obbligo di applicare lo split payment nonché le altre disposizioni di attuazione delle novelle così introdotte.

Il comma 4 disciplina la decorrenza delle novelle di cui all’articolo 1. In particolare, le nuove norme si applicano alle operazioni per le quali è stata emessa fattura a partire dal 1° luglio 2017.




La direttiva “servizi” non ammette una normativa (italiana) che impone per l’esercizio di un’attività di servizi sul proprio territorio di avere sede legale nel territorio nazionale

La Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno cd. “Direttiva servizi” vieta agli Stati membri, da un lato, di subordinare l’esercizio di un’attività di servizi sul proprio territorio al rispetto di requisiti discriminatori fondati sulla nazionalità oppure sull’ubicazione della sede legale e, dall’altro, di limitare la libertà del prestatore di scegliere tra essere stabilito a titolo principale o secondario sul territorio di uno Stato membro. Questo in estrema sintesi il contenuto della sentenza causa C-593/13 del 16 giugno 2015 Presidenza del Consiglio dei Ministri/Rina Services S.p.a. Nella sentenza la Corte sottolinea che, in materia di libertà di stabilimento, la direttiva citata elenca una serie di requisiti “vietati” (tra cui figurano quelli riguardanti l’ubicazione della sede legale), i quali non possono essere giustificati. Infatti, la direttiva non consente agli Stati membri di giustificare il mantenimento di tali requisiti nelle loro normative nazionali.