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Abuso del diritto: nuova definizione e garanzie procedimentali

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Set 7, 2015

In attuazione della legge di delega fiscale (legge 11 marzo 2014, n. 23), l’articolo 1 del Decreto Legislativo 5 agosto 2015, n. 128, recante le «Disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra Fisco», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 190 del 18/08/2015, disponela revisione delle disposizioni antielusive al fine di disciplinare il principio generale del divieto dell’abuso del diritto, dandone una nuova definizione, unificata a quella dell’elusione ed estesa a tutti i tributi, non limitata a fattispecie particolari e corredata dalla previsione di adeguate garanzie procedimentali. Analizziamo, di seguito comma per comma la novella contenuta nel decreto delegato.

La nuova disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale

L’articolo 1 del Decreto Legislativo 5 agosto 2015, n. 128 in esame, inserisce l’articolo 10-bis nello Statuto dei diritti dei contribuenti (legge n. 212 del 2000), disciplinando l’abuso del diritto e l’elusione fiscale, unificati in un unico concetto che riguarda tutti i tributi, imposte sui redditi e imposte indirette, fatta salva la speciale disciplina vigente in materia doganale.

Peraltro, come specificato nella relazione illustrativa, la rubrica dell’articolo «disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale» “mette in evidenza l’unificazione della nozione di abuso del diritto con quella di elusione fiscale. Ne deriva che nell’articolato normativo i due termini sono equipollenti e utilizzati indifferentemente”.

In sostanza, in coordinazione con la Raccomandazione della Commissione europea n. 2012/772/UE del 6 dicembre 2012 (in “Finanza & Fisco” n. 3/2014, pag. 305) sulla pianificazione fiscale aggressiva nel settore dell’imposizione diretta, richiamata dall’art. 5, comma 1, della Legge n. 23/2014, si introduce una norma generale antiabuso, mentre si abroga la previgente norma antielusiva applicabile solo per l’accertamento delle imposte sui redditi ad un numero chiuso di operazioni (art. 37-bis, del D.P.R. n. 600 del 1973).

Il nuovo articolo 10-bis dello Statuto del Contribuente

Con l’inserimento del nuovo articolo 10-bis nello Statuto, l’abuso del diritto si configura in presenza di:

• una o più operazioni prive di sostanza economica;

• il rispetto formale delle norme fiscali;

• la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito;

• un vantaggio fiscale che costituisce l’effetto essenziale dell’operazione.

La collocazione della norma antiabuso all’interno dello statuto dei diritti dei contribuenti è motivata nella relazione illustrativa, “dall’esigenza di introdurre un istituto che, conformemente alle indicazioni della legge delega, unifichi i concetti di elusione e di abuso e conferisca a questo regime valenza generale con riguardo a tutti i tributi, sia quelli armonizzati, per i quali l’abuso trova fondamento nei principi dell’ordinamento dell’Unione europea, sia quelli non armonizzati, per i quali il fondamento è stato individuato dalla Corte di Cassazione nel principio costituzionale della capacità contributiva. Ciò consente, in altri termini, di riferire l’applicazione di questa disciplina tanto alle imposte sui redditi, come finora previsto dall’art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, quanto a quelle indirette, fatta salva la speciale disciplina in materia doganale. Inoltre, l’inserimento di questa disciplina nell’ambito dello Statuto dei diritti del contribuente conferisce ad essa la forza di principio preordinato alle regole previste nelle discipline dei singoli tributi, come è stato più volte riconosciuto dalla Corte di Cassazione relativamente alle altre disposizioni contenute nello statuto”.

In base al nuovo articolo della Statuto ed in attuazione del criterio direttivo dell’art. 5, comma 1, lettera b), n. 1), della legge delega che impone di considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell’operazione abusiva si è in presenza dell’abuso del diritto allorché «una o più operazioni prive di sostanza economica», pur nel rispetto formale delle norme tributarie, «realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti». La norma chiarisce che un’operazione è priva di sostanza economica se i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, «sono inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali». Si considerano indebitamente conseguiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario. Nella relazione di accompagnamento si osserva “che i vantaggi fiscali indebiti che si realizzano per effetto dell’operazione priva di sostanza economica devono essere fondamentali rispetto a tutti gli altri fini perseguiti dal contribuente, nel senso che il perseguimento di tale vantaggio deve essere stato lo scopo essenziale della condotta stessa”.

Tali operazioni non sono opponibili al Fisco. In tal caso l’Amministrazione finanziaria, ne disconosce i vantaggi e determina i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi tendo conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni. Non si considerano invece abusive le operazioni giustificate da «valide ragioni extrafiscali non marginali», anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa o dell’attività professionale del contribuente. Viene, infine, esplicitata la «libertà di scelta» del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale. Il contribuente può proporre interpello ai sensi dell’articolo 11, della legge n. 212 del 2000 per conoscere se le operazioni che intende realizzare o che siano state realizzate, costituiscano fattispecie di abuso del diritto. L’istanza deve essere presentata prima della scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione o per l’assolvimento di altri obblighi tributari connessi alla fattispecie cui si riferisce l’istanza medesima.

Definizione degli elementi essenziali dell’abuso del diritto

Il comma 2 dell’articolo 10-bis contiene la definizione degli elementi essenziali dell’abuso del diritto: In base alla lettera a), sono operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali.

La stessa lettera individua, (a titolo esemplificativo come afferma la relazione governativa) in particolare, due indici di mancanza di sostanza economica:

• la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme;

• la non conformità degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato.

Secondo la lettera b), per vantaggi fiscali indebiti si considerano i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario. Per configurare l’abuso, deve sussistere, secondo la relazione illustrativa, “la violazione della ratio delle norme o dei principi generali dell’ordinamento e, soprattutto, di quelli della disciplina tributaria in cui sono collocati gli obblighi e divieti elusi. Ciò permette, in particolare, di calibrare in modo adeguato l’ipotesi di abuso in ragione dei differenti principi che sono alla base dei tributi non applicati, fermo restando che, come si è detto, la ricerca della ratio e la dimostrazione della violazione di essa deve costituire il presupposto oggettivo imprescindibile per distinguere il perseguimento del legittimo risparmio d’imposta dall’elusione”. Va da sé, aggiunge la citata relazione “che il contrasto del vantaggio fiscale dell’operazione con le norme e i principi dell’ordinamento tributario va valutato con riguardo alle norme vigenti al momento della realizzazione dell’operazione medesima; salva, beninteso, l’ipotesi di applicazione di successive norme di natura interpretativa”.

Le valide ragioni extrafiscali non marginali escludono l’abuso

Il comma 3 dell’articolo 10-bis stabilisce che non si considerano abusive, «in ogni caso», le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente. Tale disposizione riprende quanto previsto dall’articolo 5, comma 1, lettera b), n. 2), della legge delega, con l’aggiunta del riferimento all’attività professionale del contribuente, assente nella delega che fa riferimento solo a quella imprenditoriale.

Secondo la relazione illustrativa “per cogliere la non marginalità delle ragioni extrafiscali occorre guardare all’intrinseca valenza di tali ragioni rispetto al compimento dell’operazione di cui si sindaca l’abusività. In questo senso, le valide ragioni economiche extrafiscali, non marginali sussistono solo se l’operazione non sarebbe stata posta in essere in loro assenza. Occorre, appunto, dimostrare che l’operazione non sarebbe stata compiuta in assenza di tali ragioni”.

Si ricorda che sul tema la Corte di Cassazione nella sentenza n. 1372 del 21 gennaio 2011 (in “Finanza & Fisco” n. 6/2011, pag. 375) ha affermato che il carattere abusivo dell’operazione deve essere escluso per la compresenza non marginale di ragioni extrafiscali che non si identificano necessariamente in una redditività immediata ma possono essere anche di natura meramente organizzativa e consistere in miglioramento strutturale e funzionale dell’impresa. In tale occasione, la Suprema Corte ha affermato che “l’applicazione del principio deve essere guidata da una particolare cautela, essendo necessario trovare una linea giusta di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente aggressiva e la libertà di scelta delle forme giuridiche, soprattutto quando si tratta di attività d’impresa. Tale esigenza è particolarmente sentita nei tempi recenti, nei quali si assiste ad un uso sempre più disinvolto dei cd. tax shelters e quindi ad una ricerca comune a tutte le esperienze giuridiche, di individuare adeguate forme di contrasto, anche all’infuori di una codificazione della clausola generale anti abuso”. Pertanto, il carattere abusivo deve essere escluso per la compresenza, non marginale di ragioni extrafiscali che non si identificano necessariamente in una redditività immediata ma possono essere anche di natura meramente organizzativa e consistere in miglioramento strutturale e funzionale dell’impresa. Infatti, “il sindacato dell’Amministrazione Finanziaria non può spingersi ad imporre una misura di ristrutturazione diversa tra quelle giuridicamente possibili (e cioè una fusione) solo perché tale misura avrebbe comportato un maggior carico fiscale”. Anche dal punto di vista dell’onere della prova, la citata sentenza n. 1372/2011 contiene un’affermazione rilevante: l’applicazione del principio dell’abuso del diritto comporta per l’amministrazione finanziaria l’onere di provare le anomalie o le inadeguatezze delle operazioni intraprese dal contribuente cui compete allegare le finalità perseguite, diverse dal mero vantaggio consistente nella diminuzione del carico tributario. Anche di recente la Cassazione ha ribadito che il carattere abusivo va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, che non necessariamente si identificano in una redditività immediata, potendo consistere in esigenze di natura organizzativa ed in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda. Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. (Cassazione, Sez. trib. n. 4604/2014) ha ritenuto inadeguatamente motivata l’esclusione delle valide ragioni economiche dell’acquisto, da parte della contribuente, delle azioni di una società estera, benché rientrante in più ampio progetto di riorganizzazione strutturale e funzionale di un gruppo societario di cui la prima era “capogruppo”).

Garantita la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi

Il comma 4 dell’articolo 10-bis afferma la «libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale». Il comma in esame in connessione con la definizione di condotta abusiva del comma 1 e in aderenza al criterio direttivo dell’art. 5, comma 1, lettera b), della legge delega, ribadisce il principio generale secondo cui il contribuente può legittimamente perseguire un risparmio di imposta esercitando la propria libertà di iniziativa economica e scegliendo tra gli atti, i fatti e i contratti quelli meno onerosi sotto il profilo impositivo. Pertanto, il limite che separa la libertà di scelta (e quindi il legittimo risparmio di imposta) dall’abuso del diritto è pertanto costituito dal divieto di perseguire un vantaggio fiscale indebito.

Al riguardo, la relazione governativa, sottolinea la “delicatezza dell’individuazione delle rationes delle norme tributarie ai fini della configurazione dell’abuso”. Nel documento illustrativo, viene portato come esempio di condotta non abusiva, la scelta del contribuente, per dare luogo all’estinzione di una società, di procede ad una fusione anziché alla liquidazione. Spiega la relazione: “è vero che la prima operazione è a carattere neutrale e la seconda ha, invece, natura realizzativa, ma nessuna disposizione tributaria mostra “preferenza” per l’una o l’altra operazione; sono due operazioni messe sullo stesso piano, ancorché disciplinate da regole fiscali diverse. Affinché si configuri un abuso andrà dimostrato il vantaggio fiscale indebito concretamente conseguito e, cioè, l’aggiramento della ratio legis o dei principi dell’ordinamento tributario”.

Possibilità per il contribuente di presentare un’istanza di interpello

Il comma 5 dell’art. 10-bis prevede la possibilità per il contribuente di presentare un’istanza di interpello, ai sensi dell’articolo 11, della legge n. 212 del 2000, al fine di conoscere se le operazioni che intende realizzare, ovvero che siano state realizzate, costituiscano fattispecie di abuso del diritto. L’istanza va presentata prima della scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione o per l’assolvimento di altri obblighi tributari connessi alla fattispecie cui si riferisce l’istanza medesima.

Regole procedimentali al fine di garantire un efficace contraddittorio e il diritto di difesa

Il comma 6 dell’articolo 10-bis stabilisce «senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice» che prima dell’atto di accertamento dell’abuso del diritto, l’Amministrazione Finanziaria deve notificare al contribuente, a pena di nullità, una richiesta di chiarimenti. Il contribuente deve fornire i chiarimenti richiesti entro il termine di sessanta giorni.

Il comma 7 dell’articolo 10-bis prevede che l’Amministrazione Finanziaria notifichi la richiesta di chiarimenti (con la procedura prevista dalle norme in materia di accertamento delle imposte sui redditi) entro il termine di decadenza previsto per la notificazione dell’atto impositivo. Il secondo periodo del comma prevede che tra la data di ricevimento dei chiarimenti ovvero di inutile decorso del termine assegnato al contribuente per rispondere alla richiesta e quella di decadenza dell’amministrazione dal potere di notificazione dell’atto impositivo intercorrano non meno di sessanta giorni. Il terzo periodo, infine, prevede che «in difetto, il termine di decadenza per la notificazione dell’atto impositivo è automaticamente prorogato, in deroga a quello ordinario, fino a concorrenza dei sessanta giorni.».

Obbligo rafforzato di motivazione dell’atto di accertamento

Il comma 8 dell’articolo 10-bis prescrive, «fermo quanto disposto per i singoli tributi», una specifico di obbligo di motivazione dell’atto di accertamento, a pena di nullità, in relazione a:

  • condotta abusiva;
  • norme o principi elusi;
  • indebiti vantaggi fiscali realizzati;
  • chiarimenti forniti dal contribuente nel citato termine di 60 giorni.

Viene, pertanto sancito che l’atto impositivo deve essere specificamente motivato anche in relazione ai chiarimenti forniti dal contribuente.

Tale norma attua il principio previsto dall’articolo 5, comma 1, lettera e), della legge delega, il quale prescrive «una formale e puntuale individuazione della condotta abusiva nella motivazione dell’accertamento fiscale, a pena di nullità dell’accertamento stesso.».

Le regole per la distribuzione dell’onere della prova nel giudizio tributario

Il comma 9 dell’articolo 10-bis disciplina il regime della prova ponendo a carico dell’amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d’ufficio, in relazione agli elementi individuati dai commi 1 e 2; a carico del contribuente grava invece l’onere di dimostrare l’esistenza delle ragioni extrafiscali che giustificano le operazioni effettuate, indicate dal comma 3.

Tale norma attua il principio previsto dall’articolo 5, comma 1, lettera d), della legge delega, il quale prefigura a carico dell’amministrazione «l’onere di dimostrare il disegno abusivo e le eventuali modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché la loro mancata conformità ad una normale logica di mercato, prevedendo, invece, che gravi sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di valide ragioni extrafiscali alternative o concorrenti che giustifichino il ricorso a tali strumenti».

Pagamento del tributo e delle sanzioni tributarie in pendenza del processo

Il comma 10 dell’articolo 10-bis prevede che in caso di ricorso contro l’atto impositivo, i tributi o i maggiori tributi accertati in applicazione della disciplina dell’abuso del diritto, unitamente ai relativi interessi, sono iscritti a ruolo dopo le sentenze delle commissioni tributarie, secondo i criteri indicati nell’articolo 68 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (che disciplina il pagamento del tributo in pendenza del processo) e dell’articolo 19, comma 1 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (che richiama il sopracitato articolo 68 per il pagamento delle sanzioni amministrative per violazioni tributarie in caso di ricorso alle commissioni tributarie).

Rimborso delle imposte pagate da contribuenti che non hanno partecipato all’operazione abusiva

Il comma 11 dell’articolo 10-bis disciplina i diritti dei contribuenti che non hanno partecipato all’operazione abusiva, ma hanno sostenuto oneri tributari relativamente a tale operazione. Essi possono ottenere la restituzione di quanto pagato presentando apposita istanza di rimborso all’Agenzia delle entrate, che provvede nei limiti dell’imposta e degli interessi effettivamente riscossi a seguito di tali procedure. La richiesta, dovrà essere presentata entro un anno dal giorno in cui l’accertamento è divenuto definitivo ovvero è stato definito mediante adesione o conciliazione giudiziale.

Applicazione “residuale” della disciplina dell’abuso del diritto

Il comma 12 dell’articolo 10-bis stabilisce l’applicazione “residuale” della disciplina dell’abuso del diritto, prevedendo che l’accertamento per abuso del diritto può scattare solo se non si può invocare, ai fini dell’accertamento, la violazione di specifiche norme tributarie. Con tale norma si individua pertanto il confine tra fattispecie di evasione e quelle di elusione: quest’ultima (ovvero l’abuso del diritto) si può individuare solamente se il contribuente consegue un vantaggio fiscale illegittimo attraverso fattispecie che non rientrano nell’evasione. In altri termini l’abuso del diritto, da un lato, inizia dove finisce il legittimo risparmio d’imposta e, dall’altro, termina laddove si è in presenza di fattispecie riconducibili all’evasione. Sul punto, la relazione governativa sottolinea “che la disciplina dell’abuso del diritto ha applicazione solo residuale rispetto alle disposizioni concernenti la simulazione o i reati tributari, in particolare, l’evasione e la frode: queste fattispecie vanno perseguite con gli strumenti che l’ordinamento già offre”.

Irrilevanza penale delle condotte abusive

Il comma 13 dell’articolo 10-bis stabilisce l’irrilevanza penale delle condotte abusive: le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie, ove ne ricorrano i presupposti. Tale disposizione dà attuazione a quanto previsto dall’articolo 8, comma 1, della legge delega, con cui si demanda al governo di procedere all’individuazione dei confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscale e delle relative conseguenze sanzionatorie. Ne consegue che, nelle ipotesi di contestazioni in base alla nuova normativa, a prescindere dall’importo dell’imposta evasa, il contribuente non potrà essere incriminato per la commissione di un reato tributario in base al decreto legislativo n. 74 del 2000.

La relazione governativa spiega che “il riferimento della legge delega alla «individuazione dei confini» tra evasione ed elusione dimostra come il legislatore delegante abbia chiaramente avvertito l’esigenza di una gradazione di gravità tra le condotte che integrano una violazione diretta di disposizioni normative e quelle che ne “aggirano” la ratio. In questa prospettiva, la scelta adottata nel comma 13 del nuovo articolo 10-bis è stata quella di escludere la rilevanza penale delle operazioni costituenti abuso del diritto, quali descritte dalla norma generale del citato articolo, facendo salva, per converso, l’applicabilità ad esse delle sanzioni amministrative, ove ne ricorrano in concreto i presupposti (a cominciare dalla sussistenza dell’elemento psicologico richiesto ai fini della configurabilità di una violazione amministrativa tributaria, non necessariamente presente nell’operazione abusiva, che – per quanto si è visto – si qualifica come tale in rapporto al suo risultato oggettivo)”.

Inoltre, la stessa relazione governativa afferma “L’esclusione della punibilità dell’abuso del diritto con sanzioni penali è la conseguenza della definizione che l’articolo 5 della legge delega dà dell’abuso. Si è visto infatti che tale definizione, per un verso, postula l’assenza, nel comportamento elusivo del contribuente, di tratti riconducibili ai paradigmi, penalmente rilevanti, della simulazione, della falsità o, più in generale, della fraudolenza; per altro verso, imprime alla disciplina dell’abuso caratteri di residualità rispetto agli altri strumenti di reazione previsti dall’ordinamento tributario. Resta, di contro, impregiudicata la possibilità di ravvisare illeciti penali – sempre, naturalmente, che ne sussistano i presupposti – nelle operazioni contrastanti con disposizioni specifiche che perseguano finalità antielusive (ad esempio, negando deduzioni o benefici fiscali, la cui indebita autoattribuzione da parte del contribuente potrebbe bene integrare taluno dei delitti in dichiarazione)”.

Inoltre, in applicazione del favor rei contemplato dall’art. 2 del codice penale che sancisce, in sintesi, l’applicazione al reo della disposizione più favorevole nell’ipotesi di procedimento penale in corso occorrerà applicare le norme più favorevoli che escludono la rilevanza penale dell’abuso del diritto.

L’obbligo rafforzato di motivazione e le speciali regole procedimentali previste dai commi da 5 a 11 dell’art. 10-bis dello Statuto non si applicano ai diritti doganali

Il comma 4 dell’articolo 1 del Decreto Legislativo 5 agosto 2015, n. 128, prescrive la salvezza della disciplina vigente in materia di diritti doganali disponendo che i commi da 5 a 11 dell’articolo 10-bis sopra descritti non si applicano agli accertamenti e ai controlli aventi ad oggetto i diritti doganali (articolo 34 del D.P.R. n. 43 del 1973), i quali restano disciplinati dalla normativa di riferimento (articoli 8 e 11 del D.Lgs. n. 374 del 1990 e normativa doganale dell’Unione europea).

Dal 1° ottobre 2015 efficace la nuova

Il comma 5 dell’articolo 1 del Decreto Legislativo 5 agosto 2015, n. 128 prevede che le nuove disposizioni in materia di abuso del diritto previste dall’articolo 10-bis hanno efficacia a decorrere dal (1° ottobre 2015) prossimo primo giorno del mese successivo alla data (del 2 settembre 2015) di entrata in vigore del decreto in esame e si applicano anche alle operazioni poste in essere in data anteriore alla loro efficacia per le quali, alla stessa data, non sia stato notificato il relativo atto impositivo. Pertanto, le nuove disposizioni sull’abuso si riferiscono anche a operazioni poste in essere prima dell’entrata in vigore della norma. Sono fatti salvi gli atti di accertamento già emessi sulla base della normativa previgente. In particolare, il comma 5 prevedendo che le disposizioni in tema di abuso del diritto si applichino anche alle operazioni poste in essere in data anteriore alla loro efficacia, per le quali alla stessa data non sia stato notificato il relativo atto impositivo, declina il generale principio “tempus regit actum” secondo cui la normativa sopravvenuta si applica a ciascun procedimento amministrativo non ancora concluso mediante l’adozione dell’atto finale. Ne consegue, che il comma in esame “salva” gli atti dell’Amministrazione Finanziaria che saranno notificati fino al 30 settembre 2015.

Abrogazione dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973

Il comma 2 dell’articolo 1 del decreto attuativo stabilisce l’abrogazione espressa dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973. Tale abrogazione costituisce la naturale conseguenza della disciplina posta dall’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente. Per opportuni motivi di coordinamento, si è anche stabilito che le disposizioni che richiamano l’art. 37-bis si intendono riferite all’art. 10-bis, «in quanto compatibili».

Possibilità di disapplicare le norme antielusive

Il comma 3 dell’articolo 1 prevede la possibilità di disapplicare le norme antielusive (che limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse) qualora il contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non si verificano. Rispetto alla norma previgente contenuta nell’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, la disposizione in esame prevede che il contribuente presenti istanza di interpello ai sensi del D.M. n. 259 del 1998 (in materia di compilazione e inoltro al direttore regionale delle entrate, competente per territorio, delle istanze tese ad ottenere la disapplicazione delle disposizioni normative di natura antielusiva) e che tale regolamento possa essere modificato dal Ministro dell’economia e delle finanze.